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al testo di alessandro venuto
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Vieni con me.
Questa notte ti porto Pel paese mio che come gatto acciottolato siede a’ piedi di collina di torti ulivi abbellita e si speca narciso nel Tigullio mar, santuario de cetacei. Silenti son le vie del centro Dai medievali ciottoli Di risonante pietra, via Roma di case stretta che come un rivo procede diritta e a un tratto s’assurge di Santo Stefano alla gloria perpetua. Non suonerà per noi stanotte la campana, ma aspetta; alta è ancora la luna con le sideree stelle. Corri con me tra i portici antichi color de Fieschi, asconditi e svelati come Siringa con Pan gagliardo e aitante che più desiderosa d’esser trovata che non di fuggire a un tratto in flauto si è tramutata per esser presa e musica divenire. Già dagli operosi forni s’espande fragranza di focaccia e marinare forme che innumerevoli Vulcano nel cuore della notte bianchi di farina al loro pane danno. A casa i bimbi loro dormono e le mogli; scambieranno al far del giorno posto nei giacigli ma ancora nostra è questa notte, prendi la mia mano e andiam là verso dove il mare scuro imbibisce l’orizzonte. Si apre tra le case piazza del Comune Da malnata gente comandato: Ma quanto è bello nel sublime Imaginifico silenzio Di un notturno cielo stellato? Separa ferrovia la terra e il mare Ma bastan poche scale Ed ecco stagliarsi scura sul litorale La statua imponente dell’ammiraglio In tutto il mondo noto pel suo navigare. Sublime imaginifico è dell’uomo il suo sognare Ardito e l’incondizionato osare Chè alcun limite conosce Se non ciò che riesce a immaginare. E così noi, creatura figlia del tempo che con me hai scelto sulla notte di trionfare. Rugge il mare su la scogliera E sbuffa, Sciaborda tra le pietre scintille bianche di sale grevi innalza ancora e ancora nel suo eterno tentennare. Asciuga la sabbia umida l’onda lasciva Che nuova torna dopo l’antica A bagnare i piedi di te Che quasi nuda corri ed eccitata ridi Nella notte immensa che intorno a noi S’adima. Lascia che su di noi si chiuda E al mondo nasconda I nostri d’amor sospiri E le carezze immense E i baci profondi e pieni Dell’imaginifico sublime Di un amore senza psiche. Non a caso tu hai nome Alike, o creatura del mare oceano e non ricordo più se in esso ti sei tuffata per divertirti ancora o dall’onda sei emersa come Venere signora e mi abbagli col tuo primo sorriso, e mi confondi ogn’ora chè tanta bellezza non è data per occhio mortale esser compresa. Nereide Alike di spuma adorna dall’occhio scuro che di mandorla ha la forma stringimi forte perché paura più non abbia del tempo che fugge e dell’alba che presto farà impallidire le ore tarde del nostro vivere sublime. Ma tu già non più ascolti parole che io non posso dire e adagi sulla rena il giovane corpo ambrato in attesa della danza che entrambi da tempo abbiamo atteso. Da qualche parte sulla passeggiata un gabbiano stride Mentre si accende in me la torcia da portare In te, tempio di Ebe; e le labbra schiudi sul dolce volto e la schiena inarchi in questo tutto nostro divenire; qui ci darem la mano, Alike, che la vita adesso è solo un sogno da non sprecare. Questa notte io e te siamo imaginifico sublime. |
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